giovedì 22 agosto 2013

E si spalancò davanti il Paradiso ...



Al buon vino aveva fatto esplicito riferimento il visitatore apostolico dell’Umbria, il cardinale Mons. Innocenzo Malvasia che, nel 1587, visitò anche Piediluco. Nella sua relazione si legge, fra l’altro, che questo luogo “è abbondante di vino et buono se ben cotto, come usa per tutta l’Umbria, ed abbonda di buonissimi pesci, massime di trote et gambari che sono portati in grandissima copia a Roma, facendo capo al Ponte Salaro, dove a certi tempi, sotto nome d’andare a gamberare, suole concorrere il giovedì molto popolo” [1]

[1] W.Mazzilli - Andiamo a gamberare, in "Indagini", n. 78, (giugno 1998), p. 31 

 Mezenzio Carbonario,  nel suo "Governatore Politico e Christiano", definisce la conca ternana "ameno e vago giardino" e parla di un Nera così ricco di pesce (trote, lucci, tinche, anguille) da soddisfare i bisogni della città nei giorni in cui era prescritto mangiare di magro, di pesche di 18/20 once, di abbondanti melangole, di cavoli di ogni sorta, di porri, di agli; di cipolle di smisurata grandezza, di tartufi e di molta cacciagione.

 Andrea Scoto, negli "Itinerari ovvero descrizione dei viaggi principali d'Italia" (1621), 


fa sapere ai suoi lettori che il territorio ternano "grasso e umido" produceva "i migliori vini che si possano desiderare ed anche malvasia e moscato", eccellenti carni bovine, pollame domestico, frutti grandi e gustosi, rape da 6/8 once.

Nonostante  la varietà e la qualità dei prodotti ternani, non tutti i viaggiatori restarono soddisfatti del cibo delle locande, come sperimentò la poetessa inglese Lady Anna Miller che,  insieme al marito e in una carrozza stemmata seguita dalla servitù, compì in Italia un viaggio artistico-mondano-gastronomico.
Tornando da Roma nel maggio del 1771, inorridì davanti alla carne di capra, alle uova stantie, al pane raffermo presentati da un oste di Narni.
Al contrario, nella modesta locanda del passo della Somma la comitiva gustò prosciutto di cinghiale, fette di tartufo riscaldate al fuoco e dell'ottimo ragù. I tartufi e il prosciutto, di cui fecero rifornimento, vennero subito consumati perchè a Spoleto rifiutarono piccioni "ripieni di fegato e cervello fritto" ed una "zuppa con ventricoli di vari uccelli che vi galleggiavano dentro".

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