mercoledì 7 agosto 2013

CIRIOLE e CERIOLE !!! – Parte prima



Ne “L’Opera” di Bartolomeo Scappi (1), cuoco segreto di 
Pio V, è riportato il “Pranzo preparato per la seconda incoronazione di Pio Quinto Pont. Opt. Max. alli 17 di gennaio 1566 in giorno di venere”.
Questo sontuoso pranzo della Curia Romana è particolarmente importante, non solo per la ricchezza delle 138 portate, ma, soprattutto, perché per la prima volta i piatti dolci vennero, scrupolosamente, serviti separati da quelli salati.
[…]
Nel secondo servizio di cucina, il quarto piatto fu:
“Ceriole sottestate con fiocchi di finocchio, sale e pepe”.
Anche nel pranzo del XXVIII ottobre vennero servite le “Ceriole”, cioè le anguille.
 A Roma, già nel ‘500, le piccole anguille sono chiamate “ceriole” o “ciriole”, così come “ciriola” è, o sarà detto lo sfilatino corto. 


Quindi, a Roma, le ciriole sono le anguillette o lo sfilatino, a Terni, invece, per ciriola si intende la pasta d’acqua e farina, fatta a mano e condita con aglio e olio.

Quando si parla di ciriole a Terni si pensa solo alla specialità ternana: le CIRIOLE ALL’AJU E ALL’OJU, non certo alle anguille !!!

E’ interessante quindi - ora - andare a scoprire quando prese corpo questa distinzione.

Vediamo …

da:
“Memorie, 8 nov. 1830”, C.Graziani annota:

“Fui a Valle … vi portai un cacciatore di pesca (!) che disse che nel formello [canaletto di Valle] ci si possono mettere gamberi, granci, ranocchie e … CERIOLE, ossia anguillette, ed anche trotte”;

da:
“Passato. Brevi ricordi autobiografici” 
 Tipolitografia Mariano Ceccarelli 1912 p. 23

Gradassi Luzi ricorda come, sul finire dell’Ottocento, si andasse a giocare, fuori porta, con ruzzole costituite da pizze di formaggio indurito. Le quali, “se si rompevano per via dell’urto violento di qualche ciotolo tagliente, venivano consumate in qualcuna delle piccole osterie suburbane, ove non sono ancora spente le tradizioni delle CIRIOLE AL SUGO, innaffiate dal buon vino delle nostre colline” .


Il Gradassi Luzi ricorda, con un certo rimpianto, le CIRIOLE IN UMIDO scomparse dal menù delle osterie suburbane, contestualmente all’estinzione, nei corsi d’acqua del ternano, delle piccole anguille che ne costituivano l’unico ingrediente.
 

Ricapitoliamo:

a Roma le ciriole sono le piccole anguille; le stesse piccole anguille che popolano i corsi d’acqua del ternano. 
Pertanto è pacifico sostenere che, almeno fino al 1912, per ciriola si intende solo l’anguilla e non la pasta di farina e acqua … ergo, le ciriole all’aglio e all’olio non c’entrano nulla con la cucina romana.
E’ lecito pensare che i ternani, avendo avuto esperienza della forma e della grandezza delle ciriole-anguille, se ne siano serviti per modellare la pasta a loro immagine e somiglianza, quella pasta destinata ad imporsi come specialità della cucina gastronomica locale.

Deduzione interessante ma … confutabile !!!

(1)    Bartolomeo Scappi è il più grande rappresentante, insieme a Messinsburgo, della cucina del ‘500.
Cuoco segreto, ossia personale, di patriarchi, cardinali e di sei Papi, è il grande Chef del Rinascimento italiano che organizzò banchetti spettacolari e i pasti dei conclavi, ci ha lasciato “L’Opera”, un ricettario di 870 pagine illustrate da 27 tavole. 

(segue)

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