Ne “L’Opera” di Bartolomeo
Scappi (1), cuoco segreto di
Pio V, è riportato il “Pranzo preparato per la seconda
incoronazione di Pio Quinto Pont. Opt. Max. alli 17 di gennaio 1566 in giorno
di venere”.
Questo sontuoso pranzo della
Curia Romana è particolarmente importante, non solo per la ricchezza delle 138
portate, ma, soprattutto, perché per la prima volta i piatti dolci vennero,
scrupolosamente, serviti separati da quelli salati.
[…]
Nel secondo servizio di
cucina, il quarto piatto fu:
“Ceriole sottestate con fiocchi di finocchio, sale e pepe”.
Anche nel pranzo del XXVIII
ottobre vennero servite le “Ceriole”, cioè le anguille.
A Roma, già nel ‘500, le piccole anguille sono chiamate “ceriole” o “ciriole”, così come “ciriola”
è, o sarà detto lo sfilatino corto.
Quindi, a Roma, le ciriole sono le
anguillette o lo sfilatino, a Terni, invece, per ciriola si intende la pasta
d’acqua e farina, fatta a mano e condita con aglio e olio.
Quando si parla di ciriole a Terni si pensa solo alla
specialità ternana: le CIRIOLE ALL’AJU E ALL’OJU, non certo
alle anguille !!!
E’ interessante quindi - ora - andare a scoprire quando
prese corpo questa distinzione.
Vediamo …
da:
“Memorie, 8 nov.
1830”, C.Graziani annota:
“Fui a Valle … vi portai un cacciatore di pesca (!) che disse che nel
formello [canaletto di Valle] ci si possono mettere gamberi, granci, ranocchie
e … CERIOLE, ossia anguillette, ed anche trotte”;
da:
“Passato. Brevi ricordi autobiografici”
Tipolitografia Mariano
Ceccarelli 1912 p. 23
Gradassi Luzi ricorda come,
sul finire dell’Ottocento, si andasse a giocare, fuori porta, con ruzzole
costituite da pizze di formaggio indurito. Le quali, “se si rompevano per via dell’urto violento di qualche ciotolo tagliente,
venivano consumate in qualcuna delle piccole osterie suburbane, ove non sono
ancora spente le tradizioni delle CIRIOLE AL SUGO, innaffiate dal buon vino
delle nostre colline” .
Il Gradassi Luzi ricorda, con
un certo rimpianto, le CIRIOLE IN UMIDO scomparse dal menù delle osterie
suburbane, contestualmente all’estinzione, nei corsi d’acqua del ternano, delle
piccole anguille che ne costituivano l’unico ingrediente.
Ricapitoliamo:
a Roma le ciriole sono le
piccole anguille; le stesse piccole anguille che popolano i corsi d’acqua del
ternano.
Pertanto è pacifico sostenere che, almeno fino al 1912, per ciriola
si intende solo l’anguilla e non la pasta di farina e acqua … ergo, le ciriole all’aglio e all’olio non
c’entrano nulla con la cucina romana.
E’ lecito pensare che i
ternani, avendo avuto esperienza della forma e della grandezza delle
ciriole-anguille, se ne siano serviti per modellare la pasta a loro immagine e
somiglianza, quella pasta destinata ad imporsi come specialità della cucina
gastronomica locale.
Deduzione interessante ma …
confutabile !!!
(1) Bartolomeo
Scappi è il più grande rappresentante, insieme a Messinsburgo, della cucina del
‘500.
Cuoco segreto, ossia
personale, di patriarchi, cardinali e di sei Papi, è il grande Chef del
Rinascimento italiano che organizzò banchetti spettacolari e i pasti dei
conclavi, ci ha lasciato “L’Opera”, un ricettario di 870 pagine illustrate da
27 tavole.
(segue)
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