lunedì 9 settembre 2013

Il libro dei ricordi: BISCOTTI DI MANDORLE E MARZAPANE




 
La cucina è quella di una dimora di contadini: il grande tavolo in legno che funge anche da spianatora,(1) le sedie di paglia intrecciata, la stufa a legna, la mattora(2) in un angolo, dove si impasta il pane fatto in casa e si custodisce farina e lievito come in cassaforte, le salsicce di maiale poste ad asciugare che pendono dal soffitto come lampadari ed il camino acceso; mia nonna con una parannanza candida, via via resa sempre più opacamente bianca dalla farina che sopra vi si posa e nell’impasto, le sue mani piccole e robuste che nemmeno il lavoro nei campi avevano fatto smettere, comunque, d’esser fini.


Il profumo è buono e penetrante; secco della legna d’ulivo che brucia. Acre di fumo, che bisogna aprire uno spiraglio della finestra per farlo uscire e dare un respiro d’aria alla stanza. Il camino acceso, con le lingue di fiamma del fuoco che arde, con il crepitio delle scintille ed illumina le pareti di un amaranto colore, disegnando strani rossori sui nostri visi, tingendo di rosso le rughe di mia nonna, proiettando, in perenne movimento come cuori che pulsano, la sua e la mia ombra sulle pareti che, diventate schermi rimandano ad un antico spettacolo cinese.


Il suono che riecheggia nelle orecchie ha il sottofondo delle storie raccontate, dopo la cena, attorno al camino sul quale cuociono le castagne, di fiabe, di alieni e fantasmi, eroi e super uomini, dame e cavalieri, orchi e perfide streghe che davano brividi di paura e raggianti risate.


Tagliava il marzapane a dadini e l'amalgamava con il burro ammorbidito (schiacciava il marzapane ed il burro con un cucchiaino da caffè e poi mescolava bene). Aggiungeva poi lo zucchero, la vanillina ed il sale continuando, instancabile, a mescolare ben bene.


Era il mio momento: mi faceva sbattere le uova con una frusta che, mi diceva esser meglio della forchetta, poi l'incorporava al composto.


Univa la farina passata al setaccio e le mandorle ed impastava, impastava, impastava ... fino ad ottenere una palla omogenea.


Scendevamo quindi in cantina con nonna, laddove era più fresco e lasciavamo quella "palla" a riposare per almeno un'ora; giusto il tempo che impiegava a ritirare i panni stesi ad asciugare alla tramontana, su un filo tirato da un noce ad un altro, a pochi passi dall'aia.


Quando la sentivo chiamarmi, capivo che era giunto il momento di stendere quella pasta in una sfoglia, per poi ritagliarne biscotti in cento, diseguali forme.


infilava poi la teglia, sulla quale li aveva riposti, nello sportello del forno che, come una enorme bocca vorace li divorava, per restituirceli dopo una decina di minuti, dorati come preziose monete che nonna finiva di decorare con una glassa fatta con lo zucchero mescolato ad un cucchiaio di albume.



(1) spianatoia

(2) madìa



Ingredienti:



60 gr di marzapane

400 gr di farina
150 gr di burro morbido
150 gr di zucchero
1 bustina di vanillina
2 uova
1 presa di sale
200 gr di mandorle macinate



Restrizione per rinfreschi di fidanzamento e per pranzi di nozze (secolo XVI)

Nel tardo medioevo e in età moderna in molte città europee furono promulgate norme che intendevano moderare il lusso delle manifestazioni pubbliche delle famiglie, matrimoni, funerali, doti, abbigliamento femminile, gioielli.
Tra il '400 ed il '500 a Terni furono dettate ben quattro legislazioni suntuarie, a seguito di predicazioni di frati francescani, dell'evoluzione del costume e del valore dei patrimoni. L'ultimo statuto suntuario fu presentato in Consiglio comunale nel novembre del 1573 e sottoposto all'approvazione dei Superiori, in esso sono previste due rubriche che regolamentano anche conviti e "colazioni" in occasioni di fidanzamenti e nozze, in cui oltre a riconoscere i positivi effetti di una buona tavola nei rapporti sociali, si invita alla moderazione e alla sobrietà e si indicano alcuni cibi consentiti ed altri vietati:
"[...] oltra di ciò non si possano fare, dare o ricevere collationi solite in dette visitationi, di marzapane, pinocchiati o di torte o di altre sorte di zucchero, ma solo si possono fare, dare e ricevere dette collationi solamente con ciambelle, biscotti et quattro sorte di confetti cioè anisi, coriandoli, trasea et seme comune et frutti che portaranno i tempi ad arbitrio".
 

venerdì 23 agosto 2013

Gioacchino Murat e la sua bellissima amante trovarono a Terni un cerimoniale di rango, ma non l'ospitalità per la notte: provvede una nobile famiglia di Narni

Spesso furono i patrizi romani ad alloggiare con ogni riguardo personaggi più o meno illustri di passaggio per Terni, ma non Gioacchino Murat, il quale, giunto in città nel 1815, venne accolto con cerimoniale degno del suo rango, ma non fu possibile ospitarlo col seguito per la notte. Le locande non vennero prese in considerazione per la loro modestia e la carenza di spazi. I palazzi gentilizi non si aprirono forse perchè metteva in imbarazzo, più delle idee del re, la bellissima amante che l'accompagnava. Perciò, dopo aver ammirato la Cascata delle Marmore, "spettacolo di tremenda sublimità", partì per Narni dove una famiglia del luogo, rimasta anonima, l'ospitò con infinita gentilezza.

giovedì 22 agosto 2013

La "Caduta" ... sensazioni indescrivibili

Non tutti coloro che, nei secoli XVI - XIX, transitarono per l'Umbria, diretti da Loreto a Roma o di ritorno da questa città, approfittarono della sosta a Terni o si fermarono per una escursione alla Cascata delle Marmore. Non la videro, infatti, Costanza Farnese, Cristina di Svezia, Maria Casimira regina di Polonia, Montesquieu che, passando di notte, volse il pensiero all'amico marchese Damis che si stava costruendo la casa nel quartiere Annigono [1], il piccolo Mozart, cui il padre-impresario non concedeva assolutamente distrazioni e svaghi, Casanova, troppo desideroso di giungere a Roma, il sommo Goethe per la fretta di arrivare alla città dei Papi.
Chi, invece, affrontò il disagio del trasferimento alla "Caduta" provò sensazioni indescrivibili per la "dolcezza italiana e l'asprezza svizzera riunite" del luogo, per la "musica tonante del salto" (W.J.Jacobs Heinse - scrittore tedesco),
per "l'arcobaleno sulle acque" (August Friedrich Ferdinand von Kotzebue - scrittore e drammaturgo tedesco),
 per lo spettacolo simile a "fuochi d'artificio" (Samuel Rogers - scrittore inglese),
Particolarmente scossi ed emozionati gli spiriti romantici. 
Il poeta inglese Percy Bysshe Shelley decise di ritornare per fermarsi più a lungo,
il poeta e politico inglese George Gordon Noel Byron, VI barone di Byron, meglio conosciuto come Lord Byron RS vi trovò ispirazione per versi bellissimi,
Anna Jameson, scrittrice irlandese, svenne per l'emozione,
la giovane scrittrice poetessa francese Delphine Gay de Girardin, con lo pseudonimo di Visconte Charles de Delaunay restò inebriata "del tuono, della vertigine, del suicidio delle acque",
Il poeta, scrittore, storico e politico francese Alphonse Marie Louis de Prat de Lamartine rimase convinto che la visione non poteva essere descritta a parole, ma solo vissuta "tra vertigini, brividi e pallori".
A noi non destano molta meraviglia così forti sensazioni suscitate da uno spettacolo straordinario, immutato nel tempo. Al contrario, abituati alle profonde modificazioni e ferite inferte dall'industrializzazione all'ambiente della Conca ternana resta il malinconico rimpianto dell'ammirazione dei viaggiatori dei secoli passati. 

[1] La prima posta dopo Otricoli è Narni, città abbastanza brutta. La posta successiva è Terni, dove passai di notte e, quindi non potei vedere la Cascata. Terni è la patria del marchese Damis, il quale ha fatto demolire la casa paterna, ha cominciato a costruirne un'altra ma l'ha lasciata a metà (Montesquieu, Viaggio in Italia, Economica Laterza, p. 261). Forse la casa paterna era quella così descritta nel catasto ternano: "Alessandro Damis ha terreno lavorato, olivato con casa in vocabolo Rocca Pedulana appresso la montagna pubblica , la strada, li beni di Giovanni Francesco Marcucci, Giovanni Alessandro Mazzitelli, Annibale Castillo e Paolo Setacci, di modioli 2, stare 5". (AST.)

Stendhal raccomanda, nel "Viaggio in Italia", di passare per Terni e visitare la Cascata

Nel marzo del 1828, Romain Colomb, 
intenzionato a visitare l'Italia, si rivolse per consigli ed informazioni a Stendhal. Il grande scrittore, che della nostra penisola conosceva tutto, compilò una guida nella quale, con estrema concisione, indicava dove far tappa, cosa mangiare, cosa vedere e chi incontrare. Per quanto riguardava Terni dava questo suggerimento: "A Roma si prende un vetturino per Ancona, con il patto di fermarsi tre ore a Terni per vedere la più bella cascata del mondo. Conviene vederla dall'alto, dal basso e dal mezzo: sono stati sistemati sentieri per l'imperatore d'Austria" [1]
[1] Stendhal, "Viaggio italiano" 1828, De Agostini, Novara 1961, p. 22



E si spalancò davanti il Paradiso ...



Al buon vino aveva fatto esplicito riferimento il visitatore apostolico dell’Umbria, il cardinale Mons. Innocenzo Malvasia che, nel 1587, visitò anche Piediluco. Nella sua relazione si legge, fra l’altro, che questo luogo “è abbondante di vino et buono se ben cotto, come usa per tutta l’Umbria, ed abbonda di buonissimi pesci, massime di trote et gambari che sono portati in grandissima copia a Roma, facendo capo al Ponte Salaro, dove a certi tempi, sotto nome d’andare a gamberare, suole concorrere il giovedì molto popolo” [1]

[1] W.Mazzilli - Andiamo a gamberare, in "Indagini", n. 78, (giugno 1998), p. 31 

 Mezenzio Carbonario,  nel suo "Governatore Politico e Christiano", definisce la conca ternana "ameno e vago giardino" e parla di un Nera così ricco di pesce (trote, lucci, tinche, anguille) da soddisfare i bisogni della città nei giorni in cui era prescritto mangiare di magro, di pesche di 18/20 once, di abbondanti melangole, di cavoli di ogni sorta, di porri, di agli; di cipolle di smisurata grandezza, di tartufi e di molta cacciagione.

 Andrea Scoto, negli "Itinerari ovvero descrizione dei viaggi principali d'Italia" (1621), 


fa sapere ai suoi lettori che il territorio ternano "grasso e umido" produceva "i migliori vini che si possano desiderare ed anche malvasia e moscato", eccellenti carni bovine, pollame domestico, frutti grandi e gustosi, rape da 6/8 once.

Nonostante  la varietà e la qualità dei prodotti ternani, non tutti i viaggiatori restarono soddisfatti del cibo delle locande, come sperimentò la poetessa inglese Lady Anna Miller che,  insieme al marito e in una carrozza stemmata seguita dalla servitù, compì in Italia un viaggio artistico-mondano-gastronomico.
Tornando da Roma nel maggio del 1771, inorridì davanti alla carne di capra, alle uova stantie, al pane raffermo presentati da un oste di Narni.
Al contrario, nella modesta locanda del passo della Somma la comitiva gustò prosciutto di cinghiale, fette di tartufo riscaldate al fuoco e dell'ottimo ragù. I tartufi e il prosciutto, di cui fecero rifornimento, vennero subito consumati perchè a Spoleto rifiutarono piccioni "ripieni di fegato e cervello fritto" ed una "zuppa con ventricoli di vari uccelli che vi galleggiavano dentro".

E si spalancò davanti il Paradiso ...



La conferma dell’eccellente produzione vinicola ternana ci viene dai resoconti dei viaggiatori stranieri che ebbero modo di assaggiare i vini ternani.

Transitando dalle nostre parti il Duca Ferdinando Wurttemberg, di ritorno da Roma, dove si era recato per il Giubileo del 1600, assaggiò a Somma – secondo quanto narra il suo diarista, l’architetto di corte – “dell’ottimo vino, simile alla malvasia”.
Antoin Claude Pasquin, detto Valery, erudito francese, autore del “Voyages historiques et artistiques en Italie” (1831), consigliava a chi si fosse fermato a Terni, di assaggiare il buon vino “fatto alla maniera antica”.

Del resto la materia prima non mancava nel ternano: il pizzutello di Amelia, “la migliore uva d’Italia” e quella “passarina” tra Terni e Narni, come affermava Jerome de La Lande, autore delle guide dei viaggiatori colti: “Voyage en Italie”