Ho
girato l’Italia ma in questa regione, in questa città, nella “conca” sta il mio
cuore; e se il mio cuore sta in questa casa, il cuore della casa era la cucina
con il grande camino ed il fuoco acceso che crepitava d’inverno, attorno al
quale ci sedevamo con i miei genitori ed i miei nonni dopo aver trascorso le
fredde giornate nei campi.
I loro racconti trasformavano quel luogo da focolare domestico a libro delle favole con pagine
di boschi e foreste popolate da mostri e fate.
La
cucina ed il “modo di cucinare” semplice
e complesso di mia nonna prima e di mia mamma poi, con tradizioni ed usi
tramandati dall’una all’altra più per dovere che per passione: usanze e consuetudini ignorate da entrambe ma che hanno “minato” la mia anima, il mio olfatto e con
esso il mio udito con sapori, odori e suoni che ho poi cercato, talvolta
inconsciamente, in ogni dove.
Un
ripercorrere con la memoria, una ricerca delle mie radici attraverso ricette
che facciano riemergere il ricordo del gusto e del profumo degli alimenti,
l’odore degli ambienti delle cucine ternane dove generazioni di donne, amanti
della casa e della cucina, signore-massaie, governanti e cameriere preparavano
e consumavano i cibi, con amore e lentezza.
Ricordi
che ci aiutano ad entrare in quel mondo ormai perduto ma ancora così suggestivo
e capace di comunicarci emozioni e sentimenti.
Difendere
quindi, l’identità della cucina tradizionale regionale, appiattita dal
livellamento della ristorazione che tende a portare in tavola gli stessi piatti
dal Piemonte alla Sicilia.
Da
goloso e sentimentale quale sono, ho percorso mille strade d’Italia per ragioni
di pratica sportiva ma un naturale, quanto oscuro istinto, mi portava a deviare
poi per i rivoli degli itinerari gastronomici di cui è ricamato il nostro
territorio nazionale.
Un’Italia
che vorrei onorasse, sempre, la sua millenaria cultura e la sua civiltà anche a
tavola; ho idea che è proprio attraverso questi percorsi che si mantengono le
fortune di ordine culturale, di costume e di affratellamento di un popolo.
Abbiamo,
noi più che altri, un patrimonio che è la cucina tradizionale, soprattutto la
cucina regionale, che la moda dei tanti format televisivi dedicati alla cucina, senza la necessaria preparazione
culturale, ha abbandonato per correre dietro al mito ridicolo del facile “profitto”.
E’
questa idea, questa filosofia della tavola, che vorrei trasparisse da quello
che scrivo: ed ecco allora Terni, la mia Terni, paesino di transito sulla via
consolare Flaminia.
La sua
prima valorizzazione è turistica; mèta di viaggiatori europei che consideravano
la Cascata delle Marmore tappa importante del “Gran Tour”, viaggio
romantico di conoscenza delle bellezze naturali ed artistiche d’Italia. Città
prescelta poi, per fini strategici, a sede della nascente industria siderurgica
che ne avrebbe totalmente condizionato il futuro e apportato la crescita dai
circa quindicimila abitanti della metà dell’Ottocento ai centoventimila di un
secolo dopo. La massiccia e rapida immigrazione dai territori o regioni
confinanti, i cambiamenti degli usi e costumi legati alla civiltà industriale,
il declino dell’economia agricola hanno apportato notevoli cambiamenti anche
alle consuetudini alimentari locali.
Ho
accennato al “Gran tour”, particolare viaggio compiuto da artisti e umanisti
europei nei secoli diciottesimo e diciannovesimo, per i quali il soggiorno in
Italia serviva a completare la formazione culturale ed artistica.
Questi
viaggiatori scendendo da Firenze a Roma si spingevano fino alla Cascata delle
Marmore ed il punto di riferimento più importante per l’accesso alla visione
alla Cascata è sempre stato Villa Graziani in Valle.
Libri
di viaggio e lettere ci sono testimoni di come in questa villa soggiornarono
pittori, principi, regnanti e poeti.
In quella villa, com'erano composti i tavoli? Ed i menù e le ricette proposte com'erano? Com'era il menù del giorno? E quelli delle feste o delle ricorrenze più importanti?
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