Negli ultimi anni ho
attraversato un mare in tempesta e nel silenzio forzato, nella mia incapacità perfino
di mangiare, ancor prima che di gustare, nella precarietà delle mie condizioni
fisiche, leggevo e scrivevo di cucina: in fondo, era un modo di cucinare e di
mangiare.
E’ vero, cambiano gli
ingredienti e gli strumenti ma il procedimento non era poi così dissimile.
Libro, taccuino e pentola, in qualche modo, si equivalgono: ascoltavo un momento
i miei desideri, lasciavo emergere ciò che desideravo esprimere o
assaporare, facevo una selezione, rapida o
meno a seconda del momento, degli ingredienti e delle materie che intendevo
utilizzare o affrontare, e mi cimentavo nella preparazione della pietanza, del
capitolo, o dell’appunto che fosse. Durante
la cottura-stesura, ricorrevo ai condimenti della mia terra: l’olio d’oliva
umbro prima di tutto e poi certe erbe autoctone profumatissime e mi sembrava proprio
di sentire l’odore dei cibi.
Assaporare immagini e parole aveva i suoi ritmi e le sue regole: lo facevo da solo, in silenzio, sceglievo tra le ricette quella preferita, selezionavo gli ingredienti, decidevo di cucinare leggendo o di leggere cucinando.
Assaporare immagini e parole aveva i suoi ritmi e le sue regole: lo facevo da solo, in silenzio, sceglievo tra le ricette quella preferita, selezionavo gli ingredienti, decidevo di cucinare leggendo o di leggere cucinando.
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