Tratto da:
"Storie della mia vita"
di G.Casanova
(cit. pp. 204-10)
"Da Terni raggiunsi Otricoli a piedi, perchè volevo vedere con calma il ponte antico."
(Si tratta del Ponte d'Augusto a Narni)
Tra affetto e ironia descrivo la mia condizione di felicità incolpevole, senza peccato, perduto tra la bellezza delle donne ed il piacere del viaggio, tra il buon mangiare ed il buon bere alla scoperta di proposte romanticamente piccole e rustiche fino a quelle più moderne, professionali ed innovative.
mercoledì 31 luglio 2013
PASSAGGIO A TERNI DI GIACOMO CASANOVA
CHE SCOPRE A "SOMA" I TARTUFI, MANGIATI A VENEZIA
Giacomo Casanova ha 18 anni quando, gli ultimi giorni del mese di agosto del 1743, nel suo primo viaggio da Venezia a Roma, passa per Terni.
Così scrive nella "Storia della mia vita" (cit. pp. 204-10)
"il giorno dopo, di buon mattino, (...) ci rimettemmo in cammino insieme. Cenammo a Soma (il valico della Somma) dove la padrona dell'albergo del luogo, dama di rara bellezza, ci preparò dell'ottimo cibo che innaffiammo con del vino di Cipro che le davano dei corrieri veneziani in cambio degli eccellenti tartufi che lei forniva loro e che essi poi rivendevano a Venezia" ...
"Da Terni raggiunsi Otricoli a piedi, perchè volevo vedere con calma il ponte antico. (si tratta del Ponte di Augusto a Narni). Da Otricoli un vetturino mi condusse per quattro paoli a Castelnuovo, donde, benchè fosse notte, proseguii a piedi alla volta di Roma".
martedì 30 luglio 2013
LE ORIGINI
La zona del ternano è la più umbra dell’Umbria e la
più romana della regione. Le assonanze e le reciproche influenze non si
limitano alle sole discipline artistiche ma vanno estese alla complessità del
comportamento e, passando anche per il linguaggio, pure nella cucina ci sono
relazioni strette tra Roma e Terni.
Quanto ci sia di romano nella cucina dell’Umbria
meridionale e di umbro nella cucina romana è tutto da scoprire anche per la
correlazione delle cosiddette cucine regionali e per la poca rispondenza dei
confini amministrativi che non costituiscono mai invalicabili limiti
territoriali.
Il continuo passaggio per Terni di personaggi di
grande lignaggio, i rapporti anche di parentela della nobiltà di Terni con
l’aristocrazia di Roma sono stati necessariamente elementi di stimolo per
l’affinamento della nostra cultura conviviale.
La patria di Cornelio Tacito non era certo di
secondo piano: la cita l’Alberti nel suo “Città
d’Italia” e Giacomo Lauro nel 1637 colloca la Historia di Terni tra quelle delle più importanti città del mondo.
Artisti e pittori, ispirati, passeggiavano dentro e
fuori le mura, visitavano la “Cascata”, il “Lago”, il “Ponte” e ammiravano la
bellezza della gente. E’ di Corot la “giovane italiana di Papigno”, elegante e
raffinata come una “modella” d’alta moda.
I giudizi ed i comportamenti dei viaggiatori sono
disparati: se Saume scopre nella “Valle del Nera” il Paradiso, altri scoprono
le venti once delle pesche di Papigno, i vitelli buoni come quelli di Roma, i
piccioni più grandi del mondo, il vino buono e la grande qualità e dimensione
di altri prodotti culinari.
Stendhal raccomanda nel Viaggio in Italia di passare per Terni e visitare la Cascata e
prima o poi, Costanza Farnese, Maria Casimira di Polonia, Cristina di Svezia,
Mozart, Goethe ed altri una visitina nella nostra città ce la fanno.
L’ospitalità veniva offerta dalle Confraternite di
S.Nicandro e di S.Antonio e, per le persone di rango, dalle case dei nobili e
dalla Curia, ma Costanza, figlia di Paolo III, giunta improvvisa, deve
pernottare all’osteria Corona.
Vari documenti ci fanno sapere anche quali fossero,
in tempi diversi, gli alimenti che transitavano per Terni, i vincoli
quaresimali, le norme per il pane, le tariffe sui generi alimentari, il
regolamento delle bettole e delle
osterie. Le minestre dei poveri dell’800, le porta-pranzare e le mense operaie
portano alla luce la storia della fame e delle fatiche dei ternani.
giovedì 25 luglio 2013
Lo SCALCO
Scalco è un termine medievale che deriva dal latino
“scalcus” e significa servitore.
In età rinascimentale e barocca lo scalco era, più
propriamente, il soprintendente alle cucine principesche e aristocratiche:
spettava a lui selezionare e dirigere i cuochi e la servitù, provvedere alla
mensa quotidiana del suo signore, con cui teneva personalmente i rapporti, rifornirne
la dispensa, organizzare i banchetti nei minimi dettagli. In altre parole il
moderno “Maitre”.
Non era quindi un semplice servitore, anche se di rango
elevato, ma un cortigiano: un gentiluomo per nascita o, più raramente, per
meriti culinari. Perciò, a differenza dei cuochi, a cui era vietato, poteva
vestire in modo ricercato e portare barba, baffi e parrucca.
RADICI
Ho
girato l’Italia ma in questa regione, in questa città, nella “conca” sta il mio
cuore; e se il mio cuore sta in questa casa, il cuore della casa era la cucina
con il grande camino ed il fuoco acceso che crepitava d’inverno, attorno al
quale ci sedevamo con i miei genitori ed i miei nonni dopo aver trascorso le
fredde giornate nei campi.
I loro racconti trasformavano quel luogo da focolare domestico a libro delle favole con pagine
di boschi e foreste popolate da mostri e fate.
La
cucina ed il “modo di cucinare” semplice
e complesso di mia nonna prima e di mia mamma poi, con tradizioni ed usi
tramandati dall’una all’altra più per dovere che per passione: usanze e consuetudini ignorate da entrambe ma che hanno “minato” la mia anima, il mio olfatto e con
esso il mio udito con sapori, odori e suoni che ho poi cercato, talvolta
inconsciamente, in ogni dove.
Un
ripercorrere con la memoria, una ricerca delle mie radici attraverso ricette
che facciano riemergere il ricordo del gusto e del profumo degli alimenti,
l’odore degli ambienti delle cucine ternane dove generazioni di donne, amanti
della casa e della cucina, signore-massaie, governanti e cameriere preparavano
e consumavano i cibi, con amore e lentezza.
Ricordi
che ci aiutano ad entrare in quel mondo ormai perduto ma ancora così suggestivo
e capace di comunicarci emozioni e sentimenti.
Difendere
quindi, l’identità della cucina tradizionale regionale, appiattita dal
livellamento della ristorazione che tende a portare in tavola gli stessi piatti
dal Piemonte alla Sicilia.
Da
goloso e sentimentale quale sono, ho percorso mille strade d’Italia per ragioni
di pratica sportiva ma un naturale, quanto oscuro istinto, mi portava a deviare
poi per i rivoli degli itinerari gastronomici di cui è ricamato il nostro
territorio nazionale.
Un’Italia
che vorrei onorasse, sempre, la sua millenaria cultura e la sua civiltà anche a
tavola; ho idea che è proprio attraverso questi percorsi che si mantengono le
fortune di ordine culturale, di costume e di affratellamento di un popolo.
Abbiamo,
noi più che altri, un patrimonio che è la cucina tradizionale, soprattutto la
cucina regionale, che la moda dei tanti format televisivi dedicati alla cucina, senza la necessaria preparazione
culturale, ha abbandonato per correre dietro al mito ridicolo del facile “profitto”.
E’
questa idea, questa filosofia della tavola, che vorrei trasparisse da quello
che scrivo: ed ecco allora Terni, la mia Terni, paesino di transito sulla via
consolare Flaminia.
La sua
prima valorizzazione è turistica; mèta di viaggiatori europei che consideravano
la Cascata delle Marmore tappa importante del “Gran Tour”, viaggio
romantico di conoscenza delle bellezze naturali ed artistiche d’Italia. Città
prescelta poi, per fini strategici, a sede della nascente industria siderurgica
che ne avrebbe totalmente condizionato il futuro e apportato la crescita dai
circa quindicimila abitanti della metà dell’Ottocento ai centoventimila di un
secolo dopo. La massiccia e rapida immigrazione dai territori o regioni
confinanti, i cambiamenti degli usi e costumi legati alla civiltà industriale,
il declino dell’economia agricola hanno apportato notevoli cambiamenti anche
alle consuetudini alimentari locali.
Ho
accennato al “Gran tour”, particolare viaggio compiuto da artisti e umanisti
europei nei secoli diciottesimo e diciannovesimo, per i quali il soggiorno in
Italia serviva a completare la formazione culturale ed artistica.
Questi
viaggiatori scendendo da Firenze a Roma si spingevano fino alla Cascata delle
Marmore ed il punto di riferimento più importante per l’accesso alla visione
alla Cascata è sempre stato Villa Graziani in Valle.
Libri
di viaggio e lettere ci sono testimoni di come in questa villa soggiornarono
pittori, principi, regnanti e poeti.
In quella villa, com'erano composti i tavoli? Ed i menù e le ricette proposte com'erano? Com'era il menù del giorno? E quelli delle feste o delle ricorrenze più importanti?
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